
I videogiochi moderni adottano soluzioni tecnologiche sempre più avanzate in ambito grafico e non solo. Tra queste, a catturare maggiormente l’attenzione di appassionati e addetti ai lavori, è senza dubbio il ray tracing.
Questa forma di rendering è stata resa famosa nel corso del 2018, da un’iniziativa che ha legato il marchio NVIDIA ad alcuni produttori di videogiochi. L’abbinamento del ray tracing con la più classica rasterizzazione infatti, è stata adottata per creare un sistema di hybrid rendering.
Il risultato è stato di alleggerire il lavoro delle GPU, senza rinunciare a una grafica degna di tale nome. Nonostante una certa popolarità dunque, a molti non è ancora chiaro cosa sia e come lavori il ray tracing: in questo articolo cercheremo di mettere chiarezza a riguardo.
Cos’è il ray tracing?
Questa tecnica si basa sul tracciamento di raggi che, quando incontrano oggetti durante il loro percorso, interagiscono con gli stessi. Questi raggi generalmente partono da una fonte luminosa (a prescindere da quale essa sia) e vanno dunque a simulare in maniera incredibilmente realistica gli effetti luce.
Ciò permette una gestione avanzata non solo del fascio di luce in sé, ma anche delle relative ombre che si vanno a formare, così come eventuali riflessi e altri effetti visivi più o meno complessi.

L’impatto della fonte luminosa su oggetti ed entità presenti vengono elaborate dalla scheda grafica che propone su schermo in pixel i risultati dei suoi calcoli. Chiaramente, il tutto avviene in tempo reale offrendo al videogiocatore un effetto visivo di grande impatto.
Il rovescio della medaglia, come è facile intuire, è nella potenza di elaborazione necessaria lato hardware per rendere il tutto più fluido.
Difficilmente un PC desktop datato o un notebook economico può sostenere il ray tracing senza evidenti rallentamenti o problemi di altro tipo. Proprio per questo motivo, nonostante questa tecnologia sia conosciuta da svariati decenni, solo recentemente è stata applicata all’ambito videoludico.
Le origini del ray tracing
A testimonianza di quanto appena detto, basti pensare che le origini del ray tracing vanno collocate nell’era pionieristica della stessa informatica.
La sua prima applicazione, infatti, risale al 1966, grazie al lavoro di alcuni scienziati del MAGI (Mathematical Applications Group, Inc) negli Stati Uniti. Il gruppo scientifico lavorò su questo progetto innovativo per aiutare il governo a costruire alcuni veicoli destinati all’esplorazione spaziale.
Durante gli anni 80′ tecniche abbastanza primitive (se viste con gli occhi dell’uomo contemporaneo) hanno permesso ad alcune tecniche simili di essere impiegate in ambito televisivo e cinematografico. Chiaro esempio in tal senso è l’impiego del ray tracing nel film Tron del 1982, nel quale questa tecnologia è stata utilizzata massicciamente.
Chiaramente, fino all’era moderna, computer e console non hanno mai avuto una potenza tale da poter gestire questa tipologia di rendering in maniera efficace.
Ray tracing oggi
Al giorno d’oggi, gaming e ray tracing diventano finalmente un binomio fattibile. Ne sono un chiaro esempio titoli come Metro Exodus, CyberPunk 2077 e Watch Dogs Legion. Persino un titolo datato come Minecraft ha potuto rinnovarsi grazie a tale soluzione.
In alcuni casi, questa tecnica viene utilizzata esclusivamente in ottica ombre, mentre in altre va a controllare l’illuminazione a 360 gradi.
Tutto ciò è possibile sostanzialmente grazie a GPU dotate di un’adeguata potenza, in grado dunque di svolgere in tempi infinitesimali un gran numero di calcoli per gestire il ray tracing.
A favorire ulteriormente la sua introduzione nel gaming contemporaneo, sono state anche delle particolari API, come la DirectX Raytracing targata Microsoft e Vulkan, realizzata dalla già citata NVIDIA.
Perché è così difficile per console e computer gestire questa tecnologia?
Perché è stato necessario aspettare decenni per vedere il ray tracing realmente applicato al mondo dei videogiochi?
L’enorme carico sull’hardware è dato da più fattori. In primis, il fisso, il notebook da gaming o la console devono determinare quale triangolo della scena inquadrata si intrinseca con un raggio. In questo senso, viene adottata una tecnica definita Bounding Volume Hierarchy (BVH).

Dopo questo primo calcolo, la scheda grafica deve intervenire effettuando una sorta di ripulitura dell’immagine, utilizzando un algoritmo di denoising. Questo tipo di intervento, ovviamente, deve avvenire pressoché in tempo reale e, per ottenere un risultato privo di rallentamenti, è necessaria un’enorme potenza di calcolo.
Anche se finora abbiamo nominato solo NVIDIA, ugualmente il suo principale competitor, ovvero AMD, ha studiato a fondo il ray tracing, trovando un metodo alternativo per gestire tale tecnologia in modo ottimale.
Stiamo parlando degli shader che, seppur non esclusivamente adibiti a questa funzione grafica, offrono un supporto soddisfacente per quanto concerne la gestione luci e ombre.
Ray tracing e il futuro del gaming
La graduale apertura al ray tracing lascia ben sperare per il futuro. Con l’affidarsi dell’hardware le prospettive sono alquanto rosee.
Anche se oggi non esistono soluzioni che possono spingere computer e console oltre all’hybrid rendering (dunque appoggiandosi sempre alla più classica rasterizzazione), in un futuro non troppo lontano sarà sicuramente ipotizzabile riuscire a raggiungere mete molto oltre.
Se i giochi odierni appaiono già iper realistici, il domani probabilmente ci metterà davanti a veri e propri film interattivi e fotorealistici, con luci e ombre dinamiche e dal realismo impressionante.